In anteprima il primo capitolo di Passione e Tormento
di Ester Ashton

«Ti sei appena alzata e sei già esausta» costatò, fissandomi con occhi curiosi. «Hai dormito?»
«Non proprio» ammisi ricambiando il suo sguardo.
Il suo volto a volte mi ricordava quello di un angelo per quanto lo considerassi perfetto, con quegli zigomi rosei e appena pronunciati, le ciglia lunghe e nere che contornavano occhi con taglio a mandorla. Il naso era piccolo e leggermente all’insù e le labbra a cuore, perfette e piene, i capelli neri e lunghi con un corpo alto e snello tipico di una fotomodella; era bellissima.
Al contrario, il mio aspetto era banale, con capelli castani chiari, occhi nocciola così chiari che ricordavano l’ambra, zigomi pronunciati, naso lungo e una bocca carnosa e leggermente più grande in proporzione al resto del volto.
Nonostante fossi alta un metro e settanta, quel tanto da non scomparire vicino a un uomo più alto, ritenevo il mio corpo troppo formoso, con i fianchi e i seni troppo grossi e pieni.
Forse potevo non colpire al primo sguardo, ma inevitabilmente attiravo gli uomini, forse anche per la fredda determinazione che leggevano nei miei occhi, per mostrarmi più sicura e sensuale di quanto non lo fossi in loro presenza.
«Valerie, dove sei?» Helen mi distolse dai miei pensieri.
«Scusa, pensavo…» risposi prendendo una fetta di pane tostato e iniziai a spalmarlo con marmellata di fragole.
«Perché non ti prendi una giornata tutta per te?» Propose. «Posso pensare io agli appuntamenti di oggi.»
«No» replicai, «sto bene, davvero, non sarà certo perché non sono riuscita a dormire tutta la notte che rallenterò il lavoro».
«Forse dovresti accettare di uscire con Jack.»
Girai la testa verso di lei, il sorriso e un luccichio malizioso nei suoi occhi mi fecero sorridere. Scossi la testa e mi resi conto che Helen riusciva a capirmi a volte più di me stessa.
«Jack, eh?» ripetei, appoggiandomi alla spalliera della sedia addentando il toast.
«Sì» confermò, «hai bisogno di uscire e fare sesso».
Spalancai gli occhi incredula e sgomenta a quelle parole, mentre lei scoppiava a ridere senza ritegno.
«Hai delle attitudini che io non conosco?» chiesi riprendendomi in fretta. «Hai per caso una laurea in psicologia con master in sessuologia?»
«No» affermò posando il toast a metà sul piattino, «ma so riconoscere la frustrazione sessuale quando ti guardo».
«E la tua soluzione sarebbe buttarmi fra le braccia di Jack?»
“Non che non fosse bello!” pensai.
«Almeno saresti appagata e riusciresti a fare una sana dormita» aggiunse Helen. «Ti ho sentito urlare e quello, amica mia, non era un grido di orrore, ma l’urlo appagato di chi ha raggiunto un orgasmo da favola».
«Helen!» esclamai sbalordita.
«Dovresti raccontarmi cosa ti faceva nel sogno» ribatté, ignorando il mio richiamo. «Chissà, potrei prendere spunto se porta a quel piacere».
Stavo per ribattere quando sentii bussare alla porta. Lanciandole un’occhiataccia, facendole intendere che la discussione non era finita lì, mi alzai e andai ad aprire spalancandola senza neanche guardare dallo spioncino.
Le gambe traballarono ma con il sostegno della maniglia, riuscii a mantenere l’equilibrio quando vidi che sulla soglia sostava il mio amico Gabriel Ross, la persona che riusciva a mandarmi completamente in tilt con un sorriso da schianto, da mozzarmi il respiro.
Gabriel: la mia passione... il mio tormento... il mio inferno.
«Ciao, Valerie» la voce roca e sensuale penetrò all’istante nei miei sensi infiammandoli, mentre il suo sguardo vagava sul mio corpo, che in quel momento non celava nulla ai suoi occhi.
Un brivido incandescente mi serpeggiò lungo la schiena, il corpo traditore sembrava volesse tendersi verso di lui.
Sentii i seni farsi più pesanti e i capezzoli già turgidi per il sogno spingersi contro il pizzo.
Inghiottii a vuoto, tentando di recuperare il controllo, nella speranza che lui non avesse letto sul viso ciò che la sua sola presenza mi procurava.
«Ciao, Gabriel» lo salutai spostandomi di lato per farlo entrare.
Lui entrò senza distogliere lo sguardo dal mio e trattenni il respiro quando lo vidi piegarsi e avvicinarsi pericolosamente, per poi andare a posarmi un bacio all’angolo della bocca, lasciandomi inebetita.
Percepii il suo profumo e lo inalai a fondo, e subito un’ondata di calore m’investì, rammentando che quell’odore di sandalo ed essenza di limone, lo avvertivo sempre anche quando lo sognavo. Mi riscossi, chiusi la porta e mi girai.
Lui stava salutando Helen, mentre i miei occhi non riuscivano a fare a meno di divorare ogni più piccolo dettaglio del suo corpo, come se potesse essere avvenuto qualche cambiamento all’ultima volta in cui l’avevo visto.
Era un uomo di trentacinque anni, due più dei miei, un metro e novantacinque di muscoli che gli disegnavano il corpo snello e muscoloso, senza un filo di grasso. Muscoli che avrei voluto sentire sotto le mani.
Ripensavo a quando l’avevo conosciuto da adolescente, già molto bello e circondato da ragazze cui inevitabilmente spezzava i cuori, ma niente mi aveva preparato a quello che con i passare degli anni sarebbe diventato.
La maglietta azzurra a maniche corte che portava, era aderente e non nascondeva il suo petto scolpito, l’addome piatto e i bicipiti. E immaginai quelle stesse braccia stringermi con ardore.
I jeans aderenti gli fasciano le gambe muscolose, come una seconda pelle. I miei occhi scivolarono sulla chiusura della cerniera e notai che non lasciava nulla all’immaginazione con il rigonfiamento che potevo vedere. Eccitato, doveva superare qualsiasi fantasia nei miei sogni.
I suoi capelli erano neri come le ali di un corvo e gli arrivavano appena sotto il mento, il colore della sua pelle era dorata, e faceva risaltare i suoi occhi verdi e profondi contornati da ciglia lunghissime e anch’esse nere da far invidia a una donna.
Quando rideva, come stava facendo in quel momento con Helen, gli si formava una fossetta da ciascun lato delle guance, che mi facevano venir voglia di morderle.
Sospirai guardandogli la bocca dalle labbra piene, che immaginavo sul mio corpo, pronte a darmi piacere. Avrei voluto assaggiarle e assaporarle.
Era sensuale da morire.
“Dannazione, perché tutti questi attributi in un solo uomo? Imprecai “non poteva averne solo uno o due?” aggiunsi andando verso il tavolo con un sorriso sulle labbra per celare il mio tormento.
-.-
Stavo parlando con Helen ma tutta la mia attenzione era rivolta a Valerie che si stava avvicinando a noi. Si era allacciata la corta vestaglia di seta, ma si notavano i capezzoli eretti che spingevano contro il tessuto e che prima, attraverso il pizzo, avevo visto, grossi e rosati.
Camminava con una tale sensualità, con quei fianchi formosi che ondeggiavano a ogni passo, che il mio membro si eresse spingendo contro la cerniera del jeans.
Mi mossi sulla sedia tentando di pensare ad altro che non fossero lei e l’eccitazione che mi procurava. Probabilmente avrei dovuto trovarmi una donna e in fretta, se ero così messo male da sentire un tale bisogno di farla mia su quel tavolo e anche davanti a Helen. Starle lontano più di un mese non aveva alterato il desiderio che avevo per lei e la cosa mi turbava.
Mi chiedevo ancora quando tutto era cambiato e avevo cominciato a fantasticare sulla mia amica che conoscevo fin dall’adolescenza. Ero un uomo a cui le donne non mancavano mai e il sapere che ce n’era una che volevo avere con tutte le mie forze, e possedere, ma che mi era in un certo senso proibita, aumentava la brama nei suoi confronti.
Il corpo di Valerie emanava calore, un fuoco che sapeva avvolgermi non appena la vedevo. Socchiusi un attimo gli occhi e la osservai in viso.
C’era qualcosa che quella mattina la rendeva diversa: osservai meglio e notai che aveva le occhiaie attorno agli occhi, come se non dormisse da giorni. Quando aveva aperto la porta era pallida ma non appena mi aveva visto, un rossore le aveva coperto le guance, illuminando i suoi occhi nocciola così chiari che ricordavano il brandy. In quel momento non mi stava guardando, anzi, evitava di farlo concentrandosi sul toast che aveva davanti e che stava svogliatamente addentando a piccoli morsi con quella bocca carnosa che aveva.
Quelle labbra erano un sogno a occhi aperti. Un ricordo sovvenne nella mia mente: per caso un giorno che eravamo usciti tutti insieme per prendere un gelato con Jack e Helen e le avevo visto mangiare un cono. La fantasia si era sfrenata pensando a quella bocca che si chiudeva sul mio pene e lo succhiava con vigore e al solo pensiero ero stato capace di eccitarmi fino a sentire dolore.
«Dove sei stato, Gabriel?» Chiese Helen.
La sua domanda mi distolse dai quei pensieri lussuriosi sulla mia amica Valerie.
Girai la testa verso di lei.
«A Los Angeles per lavoro» risposi, «sono tornato due giorni fa».
«Sei stato via per parecchio tempo» aggiunse Helen.
«In realtà avevo diversi appuntamenti» le spiegai, «e sarebbe stato inutile tornare qui a New York per poi ripartire».
«Concordo con te.»
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